Monday, 7 December 2009

T. S. Eliot tra passato e presente - L’attimo presente del passato è hic et nunc



By Ajith Rohan J.T.F. Rome

"Da ciò è nata la concezione dell’uomo in quanto soggetto, che è libero di esprimere le idee, che nascono secondo questa corrente di pensiero, libero di pensare in modo autonomo e, come dice Eliot, con un’intelligenza di “primo ordine” che non ha alcun legame storico o tradizionale . Inoltre Eliot mantiene tre concetti fondamentali per la sua critica letteraria: emozione, sensibilità e impersonalità".

Sommario
L’attimo presente del passato è “hic et nunc” 3
Campo della storia ......................................... 4
La percezione................................................. 5
La tradizione.................................................. 5
L’identità dell’uomo ...................................... 6
I tre concetti fondamentali emozione, sensibilità e impersonale ............................... 7
Correlazione oggettiva ................................... 9
La novità scoperta ........................................ 11

L’attimo presente del passato è “hic et nunc”

Il pensiero di Eliot è ordinato nel suo modo di procedere, con un forte senso di responsabilità, con un senso d’autorità. Questi sentimenti sono individuabili sotto il dominio del termine tradizione. Questo modo di pensare e vivere nasce dal modo di proseguire le attività della propria esistenza all’interno di in una cultura, di una storia, di una tradizione in parte data e, come sostiene Eliot stesso, scoperta. Il metodo scaturisce dalle reazioni per il romanticismo che ripudia come - uomo letterato - quel modo di percepire la realtà. Da ciò è nata la concezione dell’uomo in quanto soggetto, che è libero di esprimere le idee, che nascono secondo questa corrente di pensiero, libero di pensare in modo autonomo e, come dice Eliot, con un’intelligenza di “primo ordine” che non ha alcun legame storico o tradizionale . Inoltre Eliot mantiene tre concetti fondamentali per la sua critica letteraria: emozione, sensibilità e impersonalità. Secondo Eliot un poeta ha due personalità: la prima è di essere ricettore , assorbitore; la seconda è di essere trasformatore delle cose ricevute, questa agisce nel processo dell’assorbire. L’importanza di un’opera d’arte o di una poesia non dipende dalle emozioni o dai sentimenti ma dall’ attività specifica di qualsiasi campo in cui si producono le idee. Eliot specifica su cosa si basa l’attività poetica : sul pensare in modo creativo relativamente alla tradizione e alla propria storia in vista di trovare un posto coerente alla creatura nuova. La storia così, non è qualcosa di passato, morto, ma è qualcosa che vive ora, vive nel presente. La storia è una delle forze attive del presente, conserva la viva presenza nel presente di ciò che è passato del passato: hic et nunc.

Campo della storia

La Storia oltrepassa la storia dell’individuo per poi essere il catalisis di un intero popolo, di una cultura, di una tradizione. Nonostante ciò, paradossalmente, questa storia mantiene l’accesso a essa con chiavi di lettura personalizzate . Quindi, i risultati delle letture sussistono con un privilegio nella stessa storia. Il campo di riflessione si estende così e va su queste letture diverse, marcando le direzioni e gli obiettivi delle opere, in una determinata epoca.

La percezione

In questo modo di pensare appare la percezione della storia:«non solo passato che come passato è passato, ma è anche presente». Vale a dire «è un’esistenza simultanea e si struttura in un ordine simultaneo». La tradizione e la storia sono fenomeni, che sussistono nel presente, nella coscienza delle persone e, producano idee nuove. Questo modo di pensare il presente evita il pericolo delle idee che non mantengono la corrispondenza con la realtà e, che a loro volta, non dimostrano né effetti o conseguenze , che possono spingere verso un non senso, essendo puro. D’altra parte si può reagire al presente pur essendo una forza del pensiero, in modo distruttivo. Questo modo di percepire puro, in un contesto storico, dovrebbe assorbire in un primo momento, un senso «a temporale» (timeless) per poi arrivare ad uno status «temporale». La sintesi dei due momenti forma la «tradizione».

La tradizione

Questo termine, anche ai giorni nostri, in tutte le culture e in diversi gradi, viene usato con un senso negativo, come termine avversario del moderno. Dice Eliot stesso che, se la tradizione venisse usata «con una cieca o timida adesione ai risultati ottenuti, essa andrebbe senza altro scoraggiata». Per questo termine Eliot intende che essa non è altro che il rispetto della propria temporalità. Vale a dire che bisognerebbe evitare i rischi che possono derivare dai pensieri puri. Quindi, la tradizione aiuta a essere coscienti del proprio tempo e del luogo di appartenenza. Sostiene Eliot che, la tradizione non può essere ereditata ma dovrebbe essere conquistata. Quest’obiettivo richiede tanto lavoro, impegno ed esige un buon senso della storia.

L’identità dell’uomo

Secondo la teoria di Eliot l’uomo non può comportarsi in modi mondi diversi senza storia e tradizione. Nessuno può trovare il proprio senso senza gli altri; ciascuno è portatore delle esperienze proprie, che a loro volta sono state scavate e formati dalla storia e dalla tradizione. Ciò vuol dire che l’identità propria, è formata dalla parte storica che sta in fondo, che fa da catalisis all’individuo e gli permette di scoprire gli elementi e costruire la propria identità. Ecco perché la tradizione è una conquista. Così un individuo che produce le idee nuove, conquista un posto collocandosi all’interno della propria tradizione, tra i propri simili e nello spazio che occupa. In questo modo ha la possibilità di contrapporsi, ossia criticare, le idee della tradizione per poi scoprirne delle nuove.

I tre concetti fondamentali emozione, sensibilità e impersonale

I sentimenti, secondo Eliot, innanzitutto e soprattutto, sono elementi empirici e non sono astratti. Esse ci danno la sensibilità, la certezza, su un piano reale o immaginario, le nuove sensazioni con dimensioni varie rispetto alle esperienze. Le emozioni sono costituite dai sentimenti vari, quindi hanno una sua natura e un loro modo di procedere. Uno ha possibilità di provocare i sentimenti di una persona, ma non può stuzzicare le emozioni ad esempio concupiscibili, irascibili, di piacere, amore ecc. perché sono come gli insiemi, di per sé non esistono, ma sussistono grazie ai sentimenti.
I sentimenti di cui abbiamo discusso, possono ricevere un attributo morale in base ai valori culturali, sociali e politici. Nel mondo poetico esistono i sentimenti astratti che non sono né buoni né cattivi. La sensibilità , secondo Eliot, nell’arte dovrebbe essere una forza morale che
distingue il bene dal male, per dare il valore reale, in un contesto definito. La sensibilità è, dunque, l’organizzazione dei diversi sentimenti e delle diverse percezioni che esistono, che può essere applicata alla vita reale, ed è in parte definita. Ciò vuol dire che la sensibilità e l’applicazione è una competenza dell’uomo creativo . La sensibilità si esprime nelle sue forme nuove, grazie alle capacità linguistiche viventi e ai nuovi mondi scoperti .
Il concetto impersonale, secondo Eliot, è legato alla storia e alla poesia. Dunque per comprendere meglio il concetto, dobbiamo discutere queste due connessioni. La prima riguarda la relazione tra il poeta e la storia e, possiamo comprenderla in base all’importanza che egli ha descritto riguardo alla tradizione. Dunque, la storia vive nel presente. Questa storia non è un concetto vuoto ma contiene un’ immensità di dati, fatti e procedure diverse, tra cui possiamo individuare le diverse tradizioni, i pensieri diversi che sono applicati al quadro del presente con le pennellate modificabili collegate ad altre caratteristiche. Così nessun uomo nasce con sentimenti e con sensibilità pura, ma ,sempre all’interno di una cultura data. Ciò vuol dire che il significato e il senso dell’esistenza di una persona dipendono dalla storia vivente nel presente. Il valore, il senso e il significato della persona dipendono dagli altri, da coloro che hanno costruito il quadro storico-tradizionale. Quindi con la relazione tra le tradizioni uno dovrebbero pensare in modo critico, per scoprire le novità dell’essere della tradizione . Uno non può valutare se stesso da solo. Ciò vuol dire che vi è una dimensione impersonale che impedisce il soggettivismo puro dei romantici. Eliot, non intende la storia o la tradizione come un dogma , anzi, come dice lui stesso, tale concezione dovrebbe essere «scoraggiata» . La responsabilità di un poeta non è affermare la propria personalità, ma “con” e “a partire” dal mezzo che è il suo pensiero, prendere coscienza delle forze e dei processi del pensiero nell’immensità della mente e, valutarli e criticarli per poi sentire l’odore delle dimensioni nascoste, in attesa di poterli condividere con la comunità umana. I pensieri e le esperienze sono importanti per gli esseri umani. D’altra parte l’ esperienza di un’ opera d’arte può anche non essere importante nell’ intimo della personalità un soggetto.

Correlazione oggettiva

Il termine viene usato per la prima volta in un discorso sull’arte, tenuto a Washington circa 1840 e lo si utilizza in modo chiaro anche nell’ Amleto e i suoi problemi e in Il bosco Sacro. È un modo di accedere esplicito ai concetti che non vengono utilizzati da nessuna tradizione o storia, come quei sentimenti, emozioni colori ecc: «Will any one assert that the surrounding inorganic elements of air, earth, heat, and water produce its peculiar form? Though some, or all, of these may be essential to its development, they are so only as its predetermined correlatives, without which its existence could not be manifested; and in like manner must the peculiar form of the vegetable pre-exist in its life, -in its idea, in order to evolve by these assimilants its own proper organism. [...] So, too, is the external world to the mind; which needs, also, as the condition of its manifestation, its objective correlative. Hence the presence of some outward object, predetermined to correspond to the pre-existing idea in its living power, ». Per Eliot, quest’aspetto della produzione dell’arte umana, è molto importante perché dice che qualsiasi tipo di arte, innanzitutto e soprattutto, dovrebbe impegnarsi per la ricerca delle relazioni tra i sentimenti, le emozioni e integrarsi con i fenomeni. Se per natura poiesis è l’unico modo e medium per esprimere quello che noi pensiamo, questa relazione è fondamentale. Un paio di fenomeni, un contesto, un opportunità e una serie di avvenimenti sono gli elementi costituitivi di un emozione che possiamo poi analizzare.

Quando un sentimento si connette con un’emozione esperienziale oggettiva, con gli elementi che sono requisiti necessari, le emozioni cominciano ad esistere , e questa è l’inevitabilità dell’arte. Le caratteristiche insignificanti e negative di Gertrude secondo Eliot fanno scaturire i nuovi sentimenti che, a loro volta ,finiscono in un emozione nuova in Amleto, per poi attuare le cose che era impossibile mettere in luce. Così la puzza della criminalità, marcia in quella donna, prende vita in Amleto ma non riesce a trovare i “correlativi oggettivi” per mancanza della retorica. Ossia, «una serie di oggetti, una situazione una catena di eventi», non vengono espressi: «Amleto (uomo) è dominato da un’emozione che è inesprimibile perché è in eccesso ai fatti quali appaiono» . I sentimenti non hanno la possibilità di emergere dagli abissi per occupare gli spazi del mondo reale e poi essere chiamati per nome . Questo ci riporta ai catalisis interni, di qualsiasi cosa materiale o spirituale, con le attività per cui uno può avere relazioni tra i diversi strati dell’esistenza.

La novità scoperta

Prima di scoprire le novità, la tradizione di partenza rimane in sé conclusa, quindi completa. La novità diventa ordine ideale della misura della valutazione del tutto nella tradizione. La tradizione per non essere annullata dalla novità, comincia a riorganizzarsi intorno al nucleo nuovo, trova poi un nuovo equilibrio. In un contesto tale, scaturisce la coerenza tra antico e nuovo. La novità scoperta da un autore è che «[…]quelle caratteristiche della sua opera in cui egli somiglia meno ad altri[…]». Queste sono le caratteristiche di quell’ autore, dalle quali possiamo ricavare qualcosa che si può isolare per poi «compiacerne» . Questo, non avviene con un’imitazione cieca, riferita ad un periodo storico, letterario o di qualsiasi altro campo. Occorre la consapevolezza della tradizione nella «quale non è detto che concorrano infallibilmente tutte le personalità[…]» Si dovrà sapere che «l’arte non migliora mai, anche se il materiale dell’arte non è mai completamente lo stesso» e «lo spirito del suo paese è in movimento, ma […] tale movimento, è fatto in modo che nulla venga abbandonato en route,[…]» .

Wednesday, 2 December 2009

Zero e pensiero dinamico – (Appunti per filosofia teoretica 01) by Ajith Rohan J.T.F., Rome

Rome at night 2012

Ajith Rohan J.T.F.


Zero e pensiero dinamico – (Appunti 01)

Premessa

L’obiettivo principale di questa ricerca è  capire brevemente da cosa e come nasce il concetto matematico-linguistico “zero” e la sua presenza, in varie forme, in diverse culture del mondo.  In questo modo seguiamo i tratti tecnici dell’invenzione dello zero. Questo processo è accompagnato dalla critica filosofica e argomenteremo per comprendere questa creazione del concetto di zero così com’è stato influenzato a livello “Socio-Politico-Economico-Culturale” (SPEC). Inoltre,riguardo allo zero, siamo convinti della sua natura congenita e della sua inevitabilità, cioè di uno “spazio vuoto individuato” e rappresentato da un concetto ed eventualmente da un simbolo per la comunicazione e per qualsiasi espressione perfetta (numerica o linguistica) umana (cfr. Ajith Rohan J.T.F., La Retorica ed Ermeneutica come discipline complementari per la ricerca della verità in Aristotele e in Gadamer, 2008 Roma). In questo modo noi proviamo ulteriormente la nostra teoria della conoscenza basata sulla definizione dell’uomo: avente logos.

Questa necessità probabilmente è stata individuata materialmente e oggettivamente da parte di quel (quale?)popolo del continente Indiano, in quanto già avevano un pensiero raffinato filosofico-religioso pratico che a sua volta facilitava una tale invenzione. Inoltre, la lingua antica Sanskrito forniva già un termine che ha facilitato il comunicare questo concetto senza difficoltà nella vicissitudine della vita quotidiana. Il termine era “sunya” (vuoto e assenza – che genera una sensazione uguale a zero). Inizialmente tutti questi termini avevano un senso religioso. Ciò non vuol dire che escludendo attributi religiosi noi non possiamo trattare il concetto di zero. D’altra parte il senso religioso era solo lo sfondo culturale e civile con cui a loro volta abbellivano i concetti e la vita pratica in generale (dei, demoni, spiriti, bene, male, paradiso, inferno ecc). Questo fatto dello sfondo relativo delle epoche è presente in tutte le culture e civiltà del mondo. Ora noi lo dobbiamo comprendere senza attributi particolari in quanto semplice ed autentico possibile.

Alcuni fatti storici rilevanti

Il primo impero persiano fondato da Ciro il Grande è stato il più grande impero che copriva l’area geografica e culturale dalla valle dell’Indo all’Europa (550-330 a. c.). Questo impero ha collegato tutte le culture all’epoca in diversi modi: libertà di circolazione, fedi, culture, strade ecc. Inoltre, durante il periodo che si chiama Pax Persica, ha liberalizzato oltre alla strada regale che connetteva occidente all’India, la circolazione delle idee sociali, filosofie e culture e relative tecnologie. In questo modo prima della nascita di Siddhartha Gautama da Atene fino a valle d’Indo si conoscevano e si scambiavano non solo merci ma le idee e le culture. Gli esiliati greci, ebrei, e altre persone in questo impero, sono stati ben accolti. Secondo i fatti storici l’impero Achemenide persiano è stato il primo multinazionale e multi culturale. (cfr. Warwick Ball, Towards One World, Ancient Persia and the West, London, 2010, p 22-23). Secondo Ball, Anassimandro, Ecateo, Ippodamo, Pitagora, Anassagora, Ippocrate, Erodoto ed Eraclito  sono nati o vissuti sotto l’impero Persiano in Asia Minore (cfr. ibidem, p. 39). Inoltre quando nacque Siddhartha Gautama nel 480 a. c. i soldati Indiani del regno di Gandhara stavano facendo guerra a150 miglia da Atene per conto dell’impero Persiano (Stephen BatchelorA Buddhist Voice for Europe, EBU AGM, 2010). Tutti questi fatti riportati qui provano i legami diretti tra Occidente e Oriente prima della nascita di Siddhartha Gautama.

Alessandro di Macedonia e legami culturali


Questo legame poi venne ristabilito da Alessandro di Macedonia (356-323 a.c.) con più dinamica. Alessandro durante i suoi viaggi ha portato i filosofi interessati. Uno di questi è stato Pirrone di Elide (360-275 a.c.) che poi divenne il fondatore della prima scuola dello scetticismo in Occidente. Pirrone ha adottato uno strumento di argomentazione diversa da quella abituale, quindi la logica Chatuskoti, ossia la logica cha ha usato Siddhartha Gautama. Ciò significa,come affermano vari filosofi, dopo Alessandro di Macedonia le relazioni accademiche e culturali cominciavano a ricrescere. Quando venne Alessandro in India nella zona dell’ attuale Pakistan c’era la famosa università Takshila ove si insegnava la dottrina di Siddhartha Gautama e c’era anche il famoso economista Kautilya.  Questi fatti sono verificabili anche a livello archeologico. In oltre il testo che si chiama le Domande di Milinda (Milinda Panha) è un'altra prova materiale di questo legame tra Grecia e Indo-Grecia.    

D’altra parte dopo Alessandro di Macedonia la politica dell’impero è stata cambiata e l’India viene unificata sotto l’Impero di ChandraGupta (321-297 a. c.). Alla fine sotto l’imperatore Ashoka (304-232 a. c.) l’impero è stato portato al suo massimo splendore con la filosofia di Siddhartha Gautama e dopo di lui ha inizio la sua decadenza. Così in India, dopo l’imperatore Ashoka, il buddhismo viene abbandonato. L'India è stata gradualmente ripristinata ai principi pre-ariani e post-ariani o Vedica (base dei 4 Veda).In questo modo noi possiamo comprendere perché e come il monaco Nagarjuna (150-250 d. c.) è riuscito a pensare con una logica diversa e creare un concetto che trasforma tutta la matematica del mondo.  

Alcuni concetti importanti per la ricerca

Significato del termine sunyatha

Il termine nominativo “sunyatha” (शून्य) indica il «non essere, la non esistenza, ciò che non ha forma, ciò che è presente come non essere, assente, nulla. [in questo modo] gli scienziati indiani decisero che il termine “sunyatha” era perfettamente adatto, da un punto di vista sia filosofico, sia matematico (calcolo), a esprimere la nozione di assenza di uno degli elementi costitutivi del numero di volta in volta unità, decina, centinaia ecc»[1]. Sunyatha non significa “vuoto” ma  qualcosa d’indefinito. Com’è un “insieme vuoto”. D’altra parte questo termine ha una storia filosofica e religiosa in India. Il simbolo che rappresenta lo zero è un cerchio vuoto; anticamente rappresentava anche «cielo, spazio, atmosfera o firmamento». C’erano quattro rappresentazioni dello zero in India: «vuoto-spazio (sunya-kha), vuoto-circonferenza (sunya-chakra) zero-punto (sunya-bindu) [ed in fine] vuoto-numero (sunya-samkhya)»[2].

Von Neumann dice che i numeri: « could be bootstrapped out of the empty set by the operations of the mind». La mente umana è capace di osservare questi «insiemi vuoti» e così anche un altro «insieme vuoto» e così via. La base di qualsiasi partenza di un qualsiasi pensiero umano è lo stesso “insieme vuoto”. In questo modo un insieme vuoto non è più vuoto ma è un «“non-cosa”» ossia la “cosalità” mentale (cfr. A. Rohan 2008, Roma). Ora, questa conoscenza pratica la applichiamo al nostro modo di comprendere numeri partendo da zero o finire con lo zero (0 1,2,3,4,5,6,7,8,9, o al contrario); cioè, consideriamo che “Sunyatha” sia un insieme vuoto che a sua volta diventa una «“non cosa”» (cosalità) dopo aver attribuito il senso numerico di assenza come mediale o operatore (posizionale). In questo modo comprendiamo il legame tra il numero vuoto, insieme vuoto, “cosalità” e pensiero.  

Il problema della logica e comprensioni diverse

Il monaco buddhista Nagarjuna ha usato due logiche: quello chatuskoti e il sillogismo aristotelico. La logica di Buddha ha 4 possibilità (chatuskoti) ossia procede con quattro passaggi: per esempio, vero (p); falso (-p); ambe e due vero (p) e falso (-p); né vero (p) nemmeno falso (-p); (cioè tutto è possibile con una alternativa a scelta). Questa è la logica che il filosofo Pirrone di Elide (360-275 a.c.) ha usato per la sua scuola filosofica. Ciò vuol dire che la logica con quattro possibilità è stata usata da Siddhartha Gautama, nell’università di Takshila e da altri seguaci della filosofia di Siddhartha Gautama. Da questa logica “strana” scaturisce un “insieme vuoto” ossia “sunyatha”(cfr. Amir D. Aczel, Finding Zero, p. 40-41). Come Democrito tramite la massima di Pirrone “nulla di più” deduce che se c’è un vuoto significa che esiste “un vuoto”, Parmenide direbbe: se c’è un vuoto non può essere nulla, noi affermiamo che così nasce il senso della “cosalità ” da qui (da cui?)(concetto di catalisis della nostra teoria della conoscenza del 2008) l’idea del movimento di Democrito può procedere per continuo. Allora, in questo modo, possiamo comprendere che dalla logica Chatuskoti nasce la percezione fondamentale di un “insieme vuoto [3]”.  
Ora, comprendiamo la logica aristotelica; cioè, A=B; B=C; dunque A=C. La causalità conseguenziale del sillogismo Aristotelico facilita la creazione di un concetto funzionale come lo zero in senso matematico(In senso linguistico “sunya” significa già vuoto o si può dire zero esistente). Innanzi tutto dobbiamo comprendere il funzionamento della logica di Aristotele. Essa è la base utile per la meccanica. Da questa logica possiamo escludere l’inutile da qualsiasi procedura logica per completare un qualsiasi prodotto relativo. In questo modo, un “insieme vuoto” che nasce dalla logica chatuskoti può essere definito come lo zero escludendo tutte le altre possibilità.                    

Lo zero e ontologia

Alla fine sembra che tutto ciò nasce da un gioco della mente. Se è così, questo gioco della mente è lo sfondo catalitico dell’essere nel mondo. Da questo punto di vista prima sparisce il mondo dei numeri ideali platonici e poi riapre la possibilità effettiva delle attività della  mente per un mondo della comunicazione-relazionale. In questo modo la mente nella sua forma naturale continua a permettere assolutamente di vedere e  definire ciò che un individuo desidera vedere[4]. Ora possiamo comprendere dove sta l’energia originale e la capacità di creare i numeri senza riferimento agli oggetti.  È una facoltà dinamica e congenita della mente propria dell’uomo.  A questo punto bisogna precisare che le basi di calcolo come per esempio 2, 10, 20, 60 ecc. sono le capacità individuali e culturali, perciò sono relative e rilevanti relativamente al pensiero culturale. In altre parole, la base fondamentale è la percezione congenita di “insieme vuoto”.

Ora partendo da ciò che abbiamo visto (“vedere” secondo la nostra filosofia significa esaminare in modo dialettico e analitico) fino adesso si può affermare che vi è un legame inevitabile tra questa dinamica di base, cioè di percezione di un “insieme vuoto” e l’ontologia che a sua volta afferma l’esistenza di base, cioè la “presenza vuota” (essere in quanto essere e non dei fenomeni particolari). Ciò vuol dire che essere in quanto essere è uguale alla percezione dell’“insieme vuoto”; in altre parole è uguale allo zero, alla sunyatha, al nulla, al punto che non ha le parti, al parallelo cha ha lunghezza ma non ha larghezza ecc. Questo legame tra un “insieme vuoto” e “presenza vuota” designa un’autentica ontologia del pensiero.     

 Il monaco buddhista Nagarjuna e il concetto di “sunyatha”

Nagarjuna (150 a.c. – 100 d. c.) nella sua reinterpretazione sistematica della dottrina di Buddha, che si trova espressa nella sua opera principale Madhamakakarikas, probabilmente, non per un errore ma consapevolmente, individua il “Sunyatha” come qualcosa che si può riconoscere come “essere in trasformazione”. È una percezione raffinata, giusta e giustificabile. Come qualsiasi pensiero, parola e atto hanno conseguenze processuali (processi dialettiche e logiche per continuum) anche questa percezione del monaco Nagarjuna aveva portato a conseguenze tragiche. La più significativo è quella di scissione dell’insegnamento di Siddhartha Gautama in due scuole: Hinayana e Mahayana. Credo che il monaco Nagarjuna non fosse consapevole di questa conseguenza. Comunque, Nagarjuna sostiene che la presenza della materia sia come l’energia che nasce e che dura "un attimo" (in lingua Sanskrito “kshena”), come la frazione elementare possibile di un pensiero. È necessariamente pensabile con un’immagine “insieme vuoto” e pensabile con “presenza vuota”.  

D’altra parte, dal punto di vista del nostro monaco Nagarjuna questa modalità rende integrabile alla logica del suo maestro Siddhartha Gautama  quella Aristotelica che era già presente nel suo tempo in India. Così la causalità è un fattore consequenziale dei momenti che accompagnano uno che nasce dopo, vale a dire se A è la causa di B, dunque, se c’è B, ci sono le regole e gli effetti dell’esperienza dell’A in B (A=B, B=C dunque A=C). Perciò, noi affermiamo che il monaco Buddhista Nagarjuna sotto lo studio della logica Aristotelica ha ideato precisamente lo zero e lo ha diffuso tra gli intellettuali dell’India.      

L’esistenza e lo spazio-tempo 

Abbiamo visto che le cose appaiono solo "un attimo" e cambiano subito e poi vi è un legame tra l’essere e causalità. In altre parole in tutto ciò che cambia, muta e si muove vi è qualcosa di riconoscibile come “cosa che sta trasformando” cioè un “insieme vuoto” oppure la “presenza vuota” che viene determinata da concetti di qualità e quantità. Questo è il movimento di cui ha parlato Democrito sulla massima del filosofo Pirro. Il movimento è legato alla dinamica delle cose (movimento, mutamento, cambiamento). È la nostra percezione possibile del mondo. Questo si può comprendere per analogia con la pellicola cinematografica: ogni fotogramma è un telaio logico. Nel movimento un fotogramma si muove secondo il ritardo normale della percezione visiva di 1/10 alla velocità di 19 fotogrammi al secondo. Così noi percepiamo la dinamica del mondo a modo nostro esattamente. Al di fuori di quella percezione noi non possiamo parlare, proprio come ha detto Wittgenstein: su ciò di cui non si può parlare si deve tacere(Wittgenstein, Tractatus Logico Philosophicus 1922).  

Dal punto di vista della logica Aristotelica, quando Buddha afferma che non vi è nessun fenomeno eterno sottintende che le cose finite esistono. Così i fenomeni esistono negli attimi di tempo concernenti la nostra esperienza. In questo modo, il monaco Nagarjuna ha evitato il nichilismo esistenziale. Questo è un fatto importante anche riguardo all’insegnamento di Siddhartha Gautama: sunyatha non è una forma di nichilismo ma è il modo giusto di comprendere l’esistenza. Tutto ciò che esiste non solo è definibile come semplice apparenza ma anche come modo di essere quindi non è ignorabile. Allora, tutto ciò che esiste relativamente al proprio essere, comunica e relaziona col mondo. È la possibilità di essere. Così la dottrina di Buddha viene riaffermata con una dialettica diversa. In questo modo si può comprendere l’insegnamento di Siddhartha Gautama in due modi: come un’etica che riafferma la vita contemplativa e come un piano più produttivo e innovativo dal cui pensiero scaturisce lo sviluppo della materia[5].

Suggerimenti   


Abbiamo visto l’importanza dello sfondo logico del pensiero. Secondo la nostra teoria della conoscenza la logica “chatuskoti” e la “aristotelica” sono complementari. Esse fanno parte dei nostri ragionamenti critici e creativi. Noi siamo entusiasti nel raccomandare l’approfondimento della logica chatuskoti che è presente nel dialogo tra Monaco Buddhista Nagasena e il re Indo-Greco Menandro I Soter (155-130 a.c.)[6]. Leggendo questo testo uno può comprendere senza difficoltà cosa sia la logica chatuskoti e la sua utilità. In modo specifico noi siamo convinti della sua validità per comprendere e interpretare il comportamento del quantum ossia la fisica quantistica. Inoltre se analizziamo bene le domande e lo sfondo della logica chatuskoti nell’argomentazione di questo dialogo, si può capire il non senso dei concetti linguistici. Noi non raccomandiamo a nessuno di essere seguaci di nulla ma bisogna sapere raccogliere il nesso logico che a noi serve togliendo tutto ciò che è di culturale e fantastico.            


[1] Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, P. 75.

[2] Ouaknin Marc-Alain, Mystères des chiffres, Editions Assouline, trad. Ita. Atlante, Bologna 2005, Pp. 77-78.

[3] Facoltà insiemistica è una delle capacità fondamentali della nostra percezione secondo la nostra. Questo è fondamentale per comprendere il concetto di logos.
[4] In parte questa è ciò che afferma la fisica quantistica. Secondo la nostra teoria della conoscenza la logica chatuskoti è lo strumento utile per la fisica quantistica.
[5] A me sembra di interpretare Aristotele; cioè, Lo stagirita dice che la realtà è perfetta ma perfezionabile. Quindi, bisogna “vedere” con la forza creativa.
[6] Ci sono diverse traduzioni in lingua italiana e diversi studi fatti dagli studenti e studiosi italiani su questo libro. I testi sono disponibili su internet gratuitamente.




WATER - Man, The Narrator

WATER - Man, The Narrator
"No man threfore No world".