Tuesday 9 December 2008

IL DIALOGO




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Ajith rohan jtf


IL DIALOGO È LA SINERGIA DELLA VITA 

PRATICA[1]

Oggigiorno oltre a coloro che vogliono ed auspicano sinceramente e con tutto il cuore un mondo che cammini verso quella “Mèta finale” che definiscono e indicano con  diversi modi, fedi e convinzioni - oltre che con i mezzi ed i fini scoperti dall’ambiente dato e non creato da nessun uomo - ci sono anche delle persone che tirano a campare speculando sul tema del dialogo, così come su quello della guerra e della pace. Sia coloro che cercano di realizzare un mondo migliore, sia quanti vogliono semplicemente approfittare delle circostanze esistenti, tutti partono dalla propria natura, data ma anche modificata  attraverso il filtro di una determinata cultura e civiltà. Queste ultime, come dice Buddha[2], servono all’esistenza umana; tuttavia non sono fini a se stesse, ma  solo mezzi per scoprire la “Mèta finale”. Invece oggi le diverse civiltà e culture continuano a cercare di affermare le proprie rispettive identità per motivi ed interesse, tentando di imporsi sugli altri con l’astuzia o  con altri mezzi equivoci, come il potere, il denaro o la forza della posizione sociale. Le vittime di una simile coercizione prima o poi giungono alla consapevolezza di quanto hanno subito,  e si vendicano per le umiliazioni ricevute. Basti pensare al problema creato con la nascita dello Stato di Israele, nato dalle astuzie politiche europee: quelli che ora ne pagano le conseguenze sono le persone comuni. Non solo: senza conoscere gli antefatti, oggi il mondo giudica semplicisticamente i musulmani come una nazione barbarica, e l’Islam come una religione primitiva e sanguinaria. Le responsabilità di cambiare le cose sono nelle mani di due tipi principali di ricercatori: quelli sinceri e quelli che  approfittano delle circostanze. I primi lavorano per un mondo migliore rispettando le civiltà e le culture, quindi la diversità creata secondo ciò che è stato dato dalla natura; I secondi camminano sui cadaveri pur di imporre le proprie esigenze personali, mascherate nelle forme della civiltà e della cultura[3].         

 Dunque il segreto di mettere in atto un dialogo, secondo noi è questo: non vi possono essere una o più parti dominanti e altre dominate[4]. Tutti dovranno partire con l’unica intenzione di comprendere la verità nascosta nell’altro. Su questo punto vale la pena di ricordare il punto di partenza di  Socrate: sapere di non sapere tutto, e dunque non “insegnare” ma dialogando scoprire ed aiutare l’interlocutore a far scaturire le verità già presenti in lui. E’ un grande segreto che però va compreso non solo intellettualmente, per poi finire nelle chiacchiere da salotto o nella retorica pensata per guadagnare denaro o un nome tra i propri simili: al contrario, esso si incarna nella vita pratica eticamente formata e guidata. Come ben sappiamo, quando manca la sincerità fra il dire e il fare si apre un abisso. Tutti sono bravi nel dire, ma quando bisogna  fare spesso si  ritirano nelle proprie abitudini nascoste, nelle tane primitive; cioè si rifugiano nell’arroganza, nella paura, nella lotta per la sopravvivenza e negli altri timori atavici legati alla vita materiale[5]. Per non parlare dei capricci personali che possono sempre venire a galla in tutte le attività personali e comunitarie, mascherate con belle parole, sorrisi, regali o favori; questo con l’intenzione di distorcere fini e  obiettivi verso i propri interessi. Solo superando tutto questo possiamo realizzare un mondo che dialoga. Per iniziare sarebbe bene che ciascuno di noi provasse ad instaurare un dialogo con se stesso: sarebbe un buon punto di partenza.

Possiamo anche ricordare la regola aurea: fare il bene agli altri così come si desidera che sia fatto anche dagli altri. Ma il problema rimane sempre in parte irrisolto: la persona umana non viene creata da un Essere perfetto in modo diretto e immediato, ma nel processo della creazione v’è una gerarchia che si conclude nell’unione di un uomo e di donna, perpetuando così una serie di imperfezioni psicofisiche connaturate alle società umane. In altre parole, se un malato di mente sta male, come può voler bene agli altri? C’è da dire poi che la novità, la diversità, i nuovi punti di vista, i nuovi modi di vivere ecc. generano sempre un sospetto e una diffidenza che ai portatori di quella novità porteranno la morte, o quantomeno sofferenza ed emarginazione. E’ sempre accaduto in tutte le civiltà e culture ed accade anche nella nostra epoca, che pure è detta di grande progresso in tutti i campi.

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[1]I testi di base: Pico della Mirandola, De hominis dignitate, ( Bologna 1496). Titolo italiano: Il discorso sulla dignità dell’uomo; Anatole France, L’île des pingouins, trad. Ita. Isbn Edizioni, Milano 2006.     

[2] Il Buddha inoltre ha spiegato la religione(anche le convinzioni, le ideologie, le filosofie ecc.) paragonandola ad una barca, che a sua volta serve per attraversare un fiume o il mare (la vita o il samsara). Una volta raggiunta la mèta(non in modo completo e una volta per tutte,  ma in modo graduale e progressivo) ossia la riva del fiume, uno non porta sulle spalle quella barca, ma col rispetto la lascia li per gli altri che debbano o vogliano utilizzarla. Il Buddha raccomanda poi che nessuno disprezzi, sottovaluti o distrugga le altre religioni o le fedi diverse: se qualcuno si comporta così, rovina la propria stessa fede e si autodistrugge odiando gli altri(cfr. Dharmashoka, lapide XII).  In 2500 anni di storia delle missioni buddiste non troviamo un episodio che dimostri come sia stata versata una sola goccia di sangue per la diffusione della religione. Perché e come? Il fatto evidente è che la religione buddhista non è legata ai fattori culturali,  politici  o economici dei paesi. Con sincerità i religiosi buddhisti sono andati a diffondere la religione,  non a fare  colonie,  aiutare ai colonialisti (cfr. Walpola Rahula, What the Buddha taught, Gordon Fraser, Bedford, Englend 1959) o benedire le guerre. Non ci sono guerre giuste. Dio non è assetato di sangue della sua creatura. L’altro grande segreto dei buddhisti è il loro essere profondamente convinti  che per la Verità non c’è un proprietario: nel dialogo si scopre la Verità nascosta nell’altro.        

[3] È un dato di fatto psicologico che se un determinato soggetto vuole spasmodicamente difendere la propria civiltà, cultura, religione, il partito politico, la squadra di calcio, il gruppo, le idee o ideologie ecc. significa o che ha un forte bisogno di essere accolto, considerato con dignità, valutarlo per le sue qualità ecc. oppure che usa queste difese come pretesti per ottenere ciò che vuole (fama, denaro, consenso ecc.).    

[4] Queste dominazioni posso manifestarsi in modo silenzioso, cioè, psicologicamente, con intimidazioni gestuali o  addirittura culturali, che sono molto difficili da controllare. Un’altra manifestazione molto comune ed evidente è quella del potere e del denaro. Inoltre vi è un potere pericoloso legato a tutte le dominazioni: la comunicazione, cioè, dalla retorica e dalla dialettica distruttiva. Un esempio potrebbe essere l’idea gramsciana di rivoluzione culturale, dalla quale USA ha conquistato e continua a farlo usando la musica, il cinema, il teatro, la letteratura ecc. come dominazione intellettuale sulle altre culture.     

[5] Invece il Vangelo dice di non avere paura di coloro che possono distruggere il corpo materiale, ma di chi può dannare l’anima.   

L'UOMO è AVENTE LOGOS














SOMMARIO: TESI DI DOTTORATO IN FILOSOFIA TEORETICA - 2008
L’uomo è avente logos. Questa definizione dell’uomo viene sotto l’egida del concetto di catalisis, che, a sua volta, vibra solo sui piani complementari e le sinergie del pensiero umano. La sua vita inizia “con” e “a partire” dal logos. Egli “vive” nella “casa del linguaggio” e nell’attività della comprensione di sé, dell’altro e della natura completa, ma è perfezionabile ontologicamente. Così, l’avente logos per natura, «non può non comunicare». Il pensiero umano, secondo la nostra ricerca, è ricorsivo (ricava le partenze dalla propria temporalità salvo le atre possibilità come per esempio la mistica) ed ha cinque qualità: la matematica, la dialettica, la logica, la retorica e l’ermeneutica. Queste qualità a loro volta scaturiscono dal logos umano, grazie al suo sfondo di matematicità e di linguisticità. Allora, il pensiero umano è logos umano. Abbiamo riscoperto la validità, dell’unità sia dell’uomo sia del pensiero, quindi, non c’è una regina delle scienze, ossia una scienza delle scienze, che garantisce la conoscenza della verità, invece, solo nell’unità, comprendiamo la verità. Per natura l’avente logos, è l’unico essere pensante con una bipolarità. Nello stesso tempo comunicante, partendo da sé con una bipolarità peculiare. Noi affermiamo che, se l’uomo «non può non comunicare» egli «non può non pensare». Allora, nell’unità del pensiero, ove troviamo la complementarietà tra le cinque qualità e la loro sinergia per la ricerca della verità queste si esprimono nella retorica e nell’ermeneutica.

L’originalità della ricerca accademica
(esiti della ricerca)
  1. La scoperta della validità del concetto di la catalisis per la filosofia.  
  2. Una definizione nuova dell’uomo sulla base del concetto di logos: l’uomo è avente logos.
  3. Individuazione oltre a quella caratteristica del pensiero già individuato da Gadamer, abbiamo scoperto insieme la complementarietà tra la matematicità e la linguisticità del pensiero umano. 
  4. Individuare cinque qualità del pensiero: la matematica, la dialettica, la logica, la retorica e l’ermeneutica, in una situazione unitaria del pensiero che a sua volta esige la collaborazione tra le qualità nell’individuare qualsiasi concetto matematico o linguistico.
  5. Le cinque qualità del pensiero sono le catalisis ed allo stesso tempo sono catalizzatori del pensiero. Dunque, anche se le comprendiamo come le discipline scientifiche in questa forma e nello studio scientifico non hanno gli oggetti specifici se non essere catalizzatori. Le abbiamo trattato in ambedue modi per poi comprendere il valore sia come a livello catalitico sia a livello disciplinare l’importanza e indispensabile carattere per la ricerca della verità.
  6. In questo modo abbiamo individuato la ricorsività del pensiero umano a non solo alla propria temporalità ma anche al “non detto”, e a “non ancora”. Questa è diversa da quella ricorsività che si può ricavare dal pensiero di Wittgenstein e dal corrente di pensiero linguismo.       
 
Sintesi della tesi
Nel primo capitolo(L’uomo e la comunicazione) abbiamo costruito un’antropologia ontologica e fenomenologica. Dalla nostra visione del mondo l’uomo viene visto dialetticamente, cioè l’unità e la diversità intrinseca ed estrinseca nelle relazioni. La sua origine viene vista tramite il concetto di logos. Così abbiamo formulato una definizione coerente a questa natura, cioè l’uomo è avente logos. Egli inoltre «non può non comunicare» dunque «non può non pensare». La sua semplice presenza è già in relazione e in comunicazione.
Nel secondo capitolo(L’avente logos e lo sfondo dell’esistenza) abbiamo cercato di comprendere la base dell’esistenza, cioè, la relazionalità. Così abbiamo presentato la relazione tra la vita, la retorica e l’ermeneutica. soprattutto abbiamo visto la nostra esistenza come un insieme di comunicazioni, cioè il concetto di comunicazione uni direzionale e relazionale e già la possiamo intendere come l’esistenza stessa in senso generale. La comunicazione nella sua ultima analisi si può verificare nella retorica e nell’ermeneutica. La vita relazionale secondo la nostra ricerca esige la saggezza pratica, che non va intesa con una mentalità relativista, ma sempre  con la mentalità unitaria.   
Nel terzo capitolo abbiamo trattato il problema dello sfondo del pensiero dell’ avente logos(Lo sfondo mosaico del pensiero umano). Lo sfondo innanzitutto è formato dalla matematicità e dalla linguisticità. Su questo galleggiano le cinque qualità individuate, cioè, la matematica, la dialettica, la logica, la retorica e l’ermeneutica.
Nel quarto capitolo(La conoscenza della verità e la vita umana) abbiamo trattato il nesso tra la vita e la conoscenza della verità. Nel quadro abbiamo disegnato la vita umana che già esige la conoscenza, dunque, dire vita è sinonimo dire conoscenza per l’avente logos.
Nel quinto capitolo(la complementarietà e la sinergia del pensiero), che è anche la conclusione aperta della nostra ricerca, abbiamo trattato il problema della complementarietà e la sinergia nell’unità dell’uomo, nel pensiero, cioè nella vita. In questo modo abbiamo visto che la complementarità tra la retorica e l’ermeneutica come abbiamo detto nel II capitolo, possono essere definiti gli elementi costitutivi della comunicazione nella vita quotidiana. Sono due modalità immediatamente verificabili in qualsiasi relazione partendo dagli elementari ai quelli complessi. Come dice Eliot che la retorica e l’ermeneutica implicano un dialogo cosciente[1]. In altre parole, sono immediatamente legati alla ricerca della verità.


[1] Cfr. Eliot T. S., Retorica e teatro di poesia, in Sacred Wood, trad. ita. P. 108.


INDICE DELLA TESI
Introduzione ... pagina 1
Conclusione.
Bibliografia

WATER - Man, The Narrator

WATER - Man, The Narrator
"No man threfore No world".