Monday 19 May 2008

IL MONACO BUDDHISTA NAGARJUNA E IL CONCETTO DI “SUNYATHA”





Ajith Rohan J. T. F.

Nagarjuna nella sua reinterpretazione sistematica della dottrina di Buddha nella sua opera principale, Madhamakakarikas, probabilmente non per un errore ma consapevolmente individua il “Sunyatha”. Nagarjuna sostiene la presenza della materia come l’energia che nasce e che dura solo "un attimo" (kshna) come una frazione di pensiero. Così la causalità è un fattore dei momenti che accompagnano uno che nasce dopo, vale a dire se A è la causa di B, dunque, se c’è B, ci sono le regole e gli effetti dell’esperienza del A in B. la logica di Buddha (chatuskoti) che procede con quattro premesse; vale a dire: io non dico che quella visione sia vera; non dico che sia falsa; non dico nemmeno che sia vera e sia falsa allo stesso tempo; e non nego ne che sia prima ne che sia seconda(cioè tutto è possibile). Su questo punto ricordiamo la logica della possibilità, di Aristotele che, da questo tipo di pensare, può escludere sia l’impossibile sia il necessario.

Or dunque, se come abbiamo detto pocanzi le cose appaiono solo "un attimo" e cambiano subito, poi seguendo la causalità, un effetto, se porta l’effetto della causa con sé, vi è qualcosa che possiamo intendere come qualcosa che si può esperimentare almeno nel pensiero, vale a dire una possibile sensazione permanente. Ma quando Buddha dice che non vi è nessun fenomeno eterno, sembra che affermi le cose finite esistono. Se le cose finite sono già, nulla può nascere o morire. Non c’è nemmeno la causa e l’effetto. Così, non avendo nemmeno un sé che lo intende, gli oggetti non possono essere. Tutto ciò che è, semplicemente è un’apparenza. Così Nagarjuna sembra che proceda col filo del pensiero nichilista, ma poi quando il monaco dice di non avere nessuna dottrina o visione propria, intende che lui era intressato solo "argomentare per argomentare". Allora, se tutto è “sunya” non nega quello che ha detto prima, dunque, quell’apparenza dovrebbe avere una sua natura nel sentire: o bene o male, dunque tutte è due sono possibili. Ora possiamo comprendere che il “Sunyatha” non è un vuoto in Nagarjuna ma è un termine tecnico, che a sua volta, può essere malinteso e mal guidato il lettore; d’altra parte, secondo il nostro avviso, questo lo possiamo per ora chiamare con il termine aristotelico “potenza”, dunque, “Sunyatha” ossia vuoto non è un vuoto, ma è una possibilità proprio un uomo che devorebbe dare. Così possiamo capire come si può sentire, il piacere, il dolore, il bene, il male ecc. delle cose che sembrano di non esistere. Non sono gli stati psichici che uno può ridurre anche alle malattie così come nessuno può nemmeno può avere questa possibilità, e secondo noi, sono possibili della realtà che il pensiero sente proprio per la sua natura: progresso per continuum all’infinito. Allora sono reali[1]. Dunque, ora possiamo comprendere come è nato lo zero; mettendo in un movimento la cui velocità è calcolabile, esso rappresenta l’assenza pensabile e rappresentabile che a sua volta è indispensabile per il pensiero umano. Senza questa capacità noi non possiamo pensare. L’importanza del monaco Nagarjuna sta nel mettere in rilievo quest’aspetto naturale del pensiero umano. Ma in India in quel epoca è accaduto ben altro; cioè, il buddhismo viene abbandonato e l'India viene ripristinata secondo i principi pre-ariana e post-ariana o Vedica, vale a dire, l'India diventa di nuovo Indù (non in senso come noi oggi lo intendiamo ma alla base dei testi Veda). 

Inoltre il termine in lingua Sanskrito “Sunyatha” non è un sinonimo dei termini in lingua inglese “emptiness” or in lingua italiana “nulla or vuoto” ma ha un significato di “possibile essere”. Allora così, il termine “Sunyatha” non è nichilistica[2]. Se l’esistenza dei fenomeni dipendono da altri fenomeni, che sono a loro volta, vuoti, e dipendono dalla relazione, comunicazione, ciò vuoldire che le cose non esistono per sé stessi, in modo auto sufficiente, invece quel modo di “Sunyatha” è tutto il contrario dei fenomeni.

Una possibile conclusione

Su queste relazioni, Von Neumann dice che i numeri:« could be bootstrapped out of the empty set by the operations of the mind». La mente umana è capace di osservare questi «gruppi vuoti» e così anche un’altro «gruppo vuoto» e così via. In questo modo il gruppo vuoto non è più vuoto ma è «“non-cosa”». Ora credo che possiamo applicare questo ai numeri partendo da zero o finire con lo zero. Cioè, se “Sunyatha” è lo zero, un gruppo vuoto che a sua volta è riempito da «“non cosa”» diventa numero uno e così via; così comprendiamo il legame tra il numero vuoto e la “cosalità”. Alla fine sembra che tutto ciò nasce da un gioco della mente con il sentire il vuoto in modo astratto possibile. Così un mondo dei numeri platonici è impossibile, ma un mondo delle relazioni tra la mente e qualcosa che va oltre la mente da cui nascono i numeri ed i simboli è possibile. Ma questa originalità e genialità di costruire i numeri senza riferimento agli oggetti è una capacità della mente propria dell’uomo.


[1] Dobbiamo ricordare che con questa interpretazione di monaco Nagarjuna non annichilisce o non nega la dottrina di Buddha , anzi la riafferma con una dialettica diversa, portandola, secondo noi, a due punti: un etica che riafferma la vita contemplativa e la vita semplice senza attaccamenti, e l’altro è un piano più produttivo e innovativo dalla cui pensiero, scaturisce lo sviluppo della materia. Il secondo è quello che deriva dal suo pensiero e non come qualcosa di diretto. Su questo punto possiamo riprendere lo zero e lo sviluppo del pensiero umano fino ad oggi.

[2] Cfr. Loy David, Buddha of the North, Swedenborg Foundation, West Chester Pennsylvania 1996, p. 104.

WATER - Man, The Narrator

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"No man threfore No world".