Tuesday, 3 March 2009

CHI SONO I FILOSOFI


Indice

premessa

Il punto di partenza

Il nesso tra la filosofia e la vita

Il carattere precipuo dell’uomo

Filosofia e libertà

L’oggetto della filosofia

La materia sconosciuta dipende dall’uomo

conclusione

premessa

La filosofia è squisitamente umana. Il termine “filosofia” deriva dalla lingua greca: “philos + sophos”, quindi, designa l’amore per il sapere. D’altra parte, anticamente la filosofia è stata considerata come il sapere unitario e massimo che un uomo possa raggiungere. Quindi, questo massimo livello è nominato dal termine “saggezza”. La saggezza a sua volta non è solo teorica ma è insieme teoria e pratica, cioè, la phronèsis, quindi, come ha definito Aristotele, è la “saggezza pratica”. La filosofia non è un attività umana destinata a vagare nelle nuvole, ma è la vita stessa dell’uomo in quanto uomo. Se qualcuno tenta di dividere la capacità di “pensare” dal “vivere”, questo è innanzitutto e soprattutto una contraddizione, perché, senza un processo complesso dei dati con la capacità relativa del giudizio, uno non può esprimere qualcosa per far capire l’altro. Quindi, per separare il “pensare” dalla vita, occorre pensare deliberatamente. È questo è un processo di disumanizzazione. Come abbiamo dimostrato anche nella nostra tesi di dottorato, «l’uomo, non può non pensare e non può non comunicare».

Il termine in lingua Sanscrito “darshana”, significa “drushyathe anena ithi darshanam”, ossia, “da questo abbiamo visto. Ciò che intendiamo come filosofia in occidente, diventa in Sud Asia[1], “la scienza del vedere”. Non c’è nulla da amare od odiare, ma solo molto da “vedere”. L’arte del vedere, ossia, “darshnaya” ha due livelli complementari, “kriya” e “gnàna”, ossia etica ed epistemologia-ontologica e altre tipologie. Secondo il nostro avviso, partendo dal concetto di filosofia e darshana, la vita dell’uomo, in quanto “avente logos”, dovrebbe essere fondata sulla capacità dialettica e critica. In questo modo possiamo unire ciò che è diviso nella filosofia in occidente, il soggetto con l’oggetto[2]. Anche se si tratta su un piano generale, di un atto dinamico che riguarda la vita umana, la filosofia e il darshana sono due modalità sul piano teorico-pratico. Per quanto riguarda le finalità della vita pratica: è da qui che scaturiscono le “visioni del mondo”. Il fatto da notare è che sia la filosofia sia il “darshana” sono inseparabilmente legate alla vita pratica dell’uomo.

Il punto di partenza

Un filosofo fondamentalmente procede ponendosi delle domande su se stesso e sulla propria esistenza. In questo modo di procedere, tutto ciò che esiste fenomenicamente e ciò che uno può pensare e sentire sui piani particolari, vale a dire tutto ciò che per l’uomo è possibile (incluso anche il termine possibile) viene sottoposto alla discussione. In questo modo non vengono risparmiate, partendo dalla propria esistenza, la religione, la civiltà, la cultura, la tradizione e ciò che si conosce e i modi di conoscere e la validità di ciò che si conosce ed è possibile conoscere ecc. Se è così, allora, la filosofia non si dovrebbe fermare ad inginocchiarsi ai sistemi chiusi e assolutamente perfetti e totalitari che sono a loro volta destinati a sparire dal pianeta terra[3]; invece con il proprio spirito dialettico e critico, la filosofia pone le domande su tutto ciò che è possibile proprio nel nome della verità. La verità secondo Socrate è «il consenso tra le menti»[4].

Il nesso tra la filosofia e la vita

Noi sosteniamo un legame stretto tra il pensare e il vivere, per quanto riguarda l’uomo. In modo più preciso, consideriamo l’insieme della filosofia con la vita umana come, una cosa sola[5]. L’uomo in quanto uomo è un ricercatore delle verità ed egli si pone ininterrottamente domande secondo la propria virtù e ne cerca le risposte relative[6]. Con tutto ciò la filosofia diventa la catalisis del pensiero e così essa soggiace alle varie forme e ai modi di pensare. L’uomo in quanto comunicante vive sulla base della relazionalità, non può non comunicare. Le frazioni di conoscenza necessariamente dovrebbero essere comunicate con il metodo descrittivo, secondo le proprie capacità. Così nascono e si sviluppano il racconto, la storia, la conoscenza e la saggezza pratica nella comunicazione.

Il carattere precipuo dell’uomo

Il carattere precipuo dell’uomo è: lui/lei non può, non comunicare.

Spieghiamo. La comunicazione è lo sfondo e l’esistenza dell’universo. Nulla può esistere senza le relazioni comunicative. Una comunicazione di questo genere, non è necessariamente coscienziale, emotiva ed affettiva o intellettuale, cioè, una tipologia riservata agli esseri umani[7]. Basti pensare ad una molecola d’acqua: due molecole d’idrogeno con una di ossigeno, grazie ad una speciale relazione, formano una molecola d’acqua. I naturalisti hanno intuito le traiettorie degli elementi e, nell’incontro di due elementi, una interferenza violenta da parte di un terzo elemento (forse intendevano la vita o lo spirito?). Noi per quanto riguarda l’elemento unificatore, portatore e sostenitore, riteniamo importante il concetto di catalisis. Il concetto di catalisis, a sua volta, vibra solo sui piani complementari e sulle sinergie dell’esistenza e anche del pensiero umano. Per noi un uomo è simile a una pianeta, a un mondo vivente, quindi, comunicante. L’avente logos, ossia l’uomo, deve guadagnarsi la propria libertà dall’arte della contemplazione. In questo modo l’avente logos riesce a “creare” dimensioni diverse, relative alle proprie virtù. Precisiamo che, con il concetto di contemplazione, intendiamo il modo dialettico e critico di un soggetto che viene in parte guidato dalla propria coscienza, quindi, dalle forze della retorica ed ermeneutica del pensiero. In questo processo, vi è un'altra parte che non dipende dal soggetto cosciente, che proprio per causa della non consapevolezza, interviene in modo esplicito[8] facendo da catalisis per una visione dialettica del proprio mondo.

Filosofia e libertà

Ora, un filosofo ponendo delle domande allarga, secondo noi, l’orizzonte della visione del mondo degli esseri umani. Anzi, noi riteniamo che non può esserci alcun uomo (non importa quale sia la classe sociale o i gradi accademici o la forza intellettuale o il potere e il denaro che ha) che non abbia filosofato almeno una volta nella propria vita, cioè che non si sia posto delle domande riguardo alla propria esistenza e/o l’esistenza degli altri. Il pensare è, grosso modo, la nostra esistenza. Ecco perché, Ernst Bloch, dice che dalla cultura e dalla civiltà gli esseri vengono imprigionati nei sistemi. Questi sistemi a loro volta diventano sovrastrutture che tolgono, ossia sostituiscono, la libertà degli esseri umani. Ora questo fatto è evidente nel nostro mondo fatto di ipocrisie: senza la guerra oggi la pace non può esistere. D’altra parte, senza le guerre, l’economia dei paesi sviluppati non può tirar avanti; essi vendono, cioè, le armi ai propri eserciti e allo stesso tempo ai propri nemici. Allora, un filosofo inteso come uno che sente per natura e anche per gli studi compiuti (non è indispensabile), esso dovrebbe pensare e agire nella libertà, con la libertà e per la libertà (non intendiamo una forma di anarchia, né liberalismo, né libertismo). I filosofi non devono essere sottomessi a nessuno, se non al rispetto della libertà altrui, al rispetto e alla giustizia (senza cadere nei relativismi). Vale la pena di ricordare l’unico esempio che noi abbiamo per ora: il filosofo Socrate.

L’oggetto della filosofia

L’oggetto della filosofia dovrebbe essere l’uomo in quanto uomo, che cerca la verità e che ha un destino per la libertà, nella libertà. Quest’ultima a sua volta è legata inseparabilmente alla comunicazione, non in senso moderno della banalità delle comunicazioni, ma in quanto “avente logos”, che è destinato alla vita relazionale. In questo contesto l’uomo estende se stesso partendo dai parametri dati, quindi dal socio-politico e culturale, verso il cosmo. In questo modo espande le dimensioni del mondo, cioè di ciò che circonda l’uomo. In una filosofia dialettica, o dialogica, la conoscenza immutabile o dogmatica non ha una funzionalità, invece la conoscenza che muta, come dice Bachelard la conoscenza «discontinua», produce la novità[9].

La materia sconosciuta dipende dall’uomo

Se noi non sappiamo cos’è la materia, vale a dire cos’è questa sostanza come tale, a parte dei fenomeni materiali che hanno la loro materia costitutiva, noi non possiamo dire nulla sulla materia. Ma forse come pensano tanti, grazie alla natura fenomenica fatta forse da questa cosa che chiamiamo materia, possiamo noi comprendere qualcosa della sua natura? Ci sembra di no, non avendo un’idea precisa di che cosa sia questa sostanza materiale. Così tutto ciò che pensa e si afferma di questo concetto, non sembra sbagliato ma funzionante e a loro volta dipendente dal logos umano: «[…]gran parte di ciò che noi sappiamo lo dobbiamo alle parole della […]lingua, che altri hanno parlato prima di noi. Senza di esse la nostra intelligenza non sarebbe maggiore di quella di altri mammiferi superiori. Senza di esse non sapremmo costruire i linguaggi e le procedure della scienza. […]. In questa prospettiva i diversi ambiti scientifici non si confondono davvero tra loro, anzi si ordinano, ma in modo appropriato, iuxta propria principia, a seconda del loro maggiore o minore avvicinarsi alle condizioni di libertà discorsiva e di precisazioni meramente locali della comune attività verbale»[10]. Nonostante questa lacuna per quanto riguarda la materia, noi ammettiamo il principio della funzionalità delle leggi fisiche e chimiche create dagli uomini. Questo dovrebbe funzionare in uno sfondo di rispetto e di giustizia: «Expermentation must give way to argument, and argument must have recourse to experimentation»[11]. Perché l’autore di tutto è l’essere umano in quanto «avente logos».

conclusione

Noi pensiamo che all’origine la “creatività” e la capacità innovativa in tutti i campi, siano catalizzate dalla volontà e in parte dalla predisposizione della persona a sognare. Come sostiene Aristotele, l’uomo è capace di perfezionare ciò che è per lui pensabile e esperimentabile; quindi, colui che è capace d’immaginare mondi diversi, cose diverse, cercando di combinarle nella propria immaginazione in vario modo, sarebbe un filosofo? Sembra di sì. Basti pensare alla “nuova funzionalità” (da quasi venticinque anni), anzi, al ritorno della filosofia socratica, come maieutica della verità (quindi, un filosofo non è colui che sa tutto dell’altro, in modo esauriente) nella «consulenza filosofica» ossia, « teoria-pratica»[12]. Oggi un filosofo, dovrebbe essere in grado di riorganizzasi secondo i nuovi modelli, nella vita su qualsiasi punto pratico. Il carattere indispensabile del filosofo è la capacità di formulare le domande secondo le “situazioni” e trovare insieme le “interpretazioni” nuove e pratiche. Bisogna ora precisare la nostra posizione sulla conoscenza e sull’ontologia; dunque, per noi sono due discipline strettamente connesse. Anzi, sono complementari. Così, la conoscenza di un filosofo pratico, sarebbe quella basata sui fini (non intendiamo finalismo)[13]. Sembra che si stia affermando un modo unico di leggere i propri sogni attraverso tutte le discipline, dalla matematica alla filosofia, dalla teologia all’arte, dalla scultura alla pittura, alla fisica, alla biologia. Bisogna però mantenere una comunicazione non ambigua. Oggi da un filosofo si richiede la conoscenza dei linguaggi diversi e delle regole interne proprie delle diverse discipline. Un esempio di questo genere sarebbe Leonardo da Vinci.

Un filosofo per necessità oggi dovrebbe essere un ricercatore, come abbiamo detto poc’anzi, che contempla ciò che a lui/lei è possibile pensare e sperimentare. Al termine “contemplazione” noi non diamo un significato religioso; intendiamo invece che sia il modo dialettico e critico di un soggetto guidato in parte, dalla propria coscienza, quindi, dalle forze della retorica ed ermeneutica del pensiero. D’altra parte ci sono altri fattori imprevedibili ma verificabili in un “dopo” immediato. Cioè, in questo processo, che non dipende dal soggetto umano in modo esplicito coscienziale[14] ma da catalisis per una visione dialettica del proprio mondo,occorrono catalizzatori come, cultura, tradizione, storia, memoria, civiltà ecc. È interessante ricordare….. «Un idea non è niente altro che un idea, un semplice fatto di conoscenza, non produce niente, non può niente; essa agisce solo se è “sentita”, se c’è uno stato affettivo che l’accompagna e se risveglia tendenze»[15].

Ora possiamo tirar fuori un'altra conclusione: il dialogo tra i filosofi è indispensabile in nome della comunità umana, col rispetto e nella giustizia. Così i mondi possono essere riconosciuti e le dimensioni e le visioni del mondo vengono allargate. La filosofia non rimane sul piano provinciale e ripetitivo[16].

Ora possiamo dire qualcosa sulle qualità preliminari di un ricercatore: egli ha una grande curiosità «che ha per oggetto la ricerca della verità». La curiosità «è il motore di ogni vita intellettuale»; dice Einstein a questo proposito «Non ho particolari talenti, sono solo appassionatamente curioso»[17]. Socrate nel Cratilo sostiene tre caratteristiche di un ricercatore: «l’interesse per la conoscenza, la benevolenza reciproca e l’intenzione di non ingannare. […]. Vero è il discorso di chi dice che le cose come sono, falso quello di chi dice le cose come dovrebbero essere [o come vorrebbe che fossero]. Secondo Socrate, il discorso vero si genera dall’incontro di una mente con un'altra mente, in un rapporto che rispetti tre requisiti essenziali: conoscenza, bene, verità. Secondo Socrate, dunque, il criterio di verità è “il consenso tra le menti”»[18]. Vale a dire, come abbiamo detto poc’anzi, nel dialogo noi “creiamo” la conoscenza. Se è così, la conoscenza ha, come influente diretto, le tradizioni, la cultura, la politica e altri fattori particolari. Allora, nell’ontologia noi trattiamo ciò che esiste secondo gli obiettivi, i fini di un soggetto (può essere anche un concetto collettivo). Senza questa noi non possiamo discutere della conoscenza. In questo modo, ritornando al nostro argomento del nostro articolo, possiamo dire che un filosofo, è un “creatore” e un “innovatore” della conoscenza.



[1] Sud Asia costituito da sette paesi: India, Pakistan, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Sri Lanka e Maldive.

[2] Cfr. Bhagavathgeetha, 17/3.

[3] Cfr. Berlin Isaiah, Freedom and Its Betrayal, Princeton University Press, Princeton 2002, pp. 103-104.

[4] Platone, Cratilo.

[5] Ciò che noi definiamo come pensiero e pratica, per noi sono due forme dell’unica dimensione, quindi del movimento, cambiamento psico-fisico e spirituale. Il movimento psico-fisico spirituale di per sé, nello status indefinito dai concetti (effetto complesso del socio-politico e culturale), è solo nei movimenti, insensati, indeterminati che sono naturali, spontanei. Se è così, la vita umana è il modo di cercare il senso per i processi individuati di volta in volta (coscientemente, incoscientemente o secondo altri fattori) che sono in perenne movimento. Su questo punto, bisogna ammettere l’importanza della “formazione” ad una mentalità aperta e flessibile della persona all’interno di una data cultura. Vale a dire, senza questa prima impostazione e definizione dei processi naturali psico-fisici, non sarebbe possibile un’identità personale, culturale e così non ha significato la ricerca del senso o della verità.

[6] Se ciò che ha affermato Socrate è giusto: cioè, la verità è il «consenso tra le menti», noi oggi possiamo comprendere ciò che accade nel mondo, cioè, che coloro che hanno un qualsiasi potere, decidono cosa sia conveniente da considerare come verità. Questo fatto noi lo vedremo nell’articolo in cui parleremo dell’ermeneutica che esige l’autorità. Allora, a questo punto, la gente comune o semplice, ha soltanto una possibilità marginale di essere accolta come formatrice e ricercatrice della verità. Non ha voce. Oggi i mezzi di comunicazione sono nelle mani dei potenti e sono controllati dai loro interessi. Noi vediamo le società così dette dei civili d’oggi come luoghi delle ipocrisie. La gente comune deve comunque mantenere tutto uno stato lavorando con le proprie mani. Ci sono oggi poi il cinema, il teatro, la musica e altri tipi di divertimenti che, utilizzati per raccontare fiabe morali, per tener sottocontrollo l’emotività della gente con immagini di eroi moderni, fanatici personaggi del cinema, dei giochi, perfino così detti criminali, diventano anche una trappola per la gente semplice. Per esempio nel cinema, l’uomo comune, un povero, diventa un eroe che salva un presidente. Così nei pensieri nei sogni i semplici pensano d’essere eroi. In realtà loro sono solo gente comune che dovrà sostenere tutte le spese dello stato (cfr. Ernst Bloch, Il principio della speranza, I-III volumi e di Herman Pleij, Sognando la cuccagna). Inoltre il paradiso delle religioni non è nel al di là ma è legato al presente, alla vita, qui: hic et nunc. Così il povero sogna di essere consolato nell’al di là, mentre il potente e il ricco vive già su questa terra, allo spese del povero che lavora un paradiso. Basti pensare che oggi qualsiasi attività umana è interconnessa con l’economia e con la politica, le quali a loro volta si fanno pagare anche dai cadaveri.

[7] Noi non ammettiamo nemmeno una coscienza universale che fa da catalisis per l’esistenza.

[8] Precisiamo che su questo punto non intendiamo alcun fenomeno misterioso e/o religioso; sono semplicemente i fenomeni naturali che a loro volta rimangono ancora ignoti a noi esseri umani, come per esempio un tempo erano a noi ignoti alcuni batteri e virus.

[9] Bachelard Gaston, The Scientific spirit, trans. Arthur Goldhammer, Beacon press, Boston 1985, p. 54.

[10] De mauro Tullio, Scienze inumane e scienze inesatte, in, Sapere, bimestrale, febbraio 2008, anno 74, numero 1(1055), pp. 72-76.

[11] Bachelard Gaston, The Scientific spirit, trans. Arthur Goldhammer, Beacon press, Boston 1985, p. 4.

[12] Cfr. Rabbe Peter B., Philosophical counseling: theory and practice, Greenwood publishing group, UK 2001.

[13] Noi non intendiamo un finalismo sul piano biologico. Non discutiamo di un creazionismo o un evoluzionismo; invece noi discutiamo sul piano conoscitivo. Innanzitutto sosteniamo che la conoscenza sia squisitamente umana. È una “creazione” umana. In questo senso, epistemologia ed ontologia sono strettamente connesse in modo complementare. Sul piano umano, dobbiamo dire chiaramente, che essendo l’uomo un essere libero, oltre le conoscenze tramandate dalle tradizioni e dalle culture, non vi sono specie prevedibili. Dunque, non ci sono le conoscenze determinate, organizzate da qualcuno invisibile. Ripetiamo di nuovo la posizione aristotelica, che sostiene l’importanza del soggetto umano come intenditore della perfezionabilità di tutto ciò che è perfezionabile. In questo modo il finalismo o la scienza moderna non soddisfano la nostra posizione sulla epistemologia-ontologica. Questa è a sua volta legata al concetto di infinito pensabile ed impensabile. Non ammettiamo un fine al di fuori della consapevolezza umana. Non ammettiamo neppure l’esistenza d’un mondo oggettivo al di fuori della coscienza umana. Ciò che diciamo noi, non vi è un finalismo che sostiene la subordinazione dei mezzi rispetto ai fini consapevoli. Sosteniamo innanzitutto e soprattutto, la posizione dell’essere umano di Kant; cioè, l’uomo non è un mezzo, ma il fine, anzi, possiamo dire, l’uomo libero, è fine a se stesso. Non c’è un intelligenza come sosteneva Platone che a sua volta dirigeva tutto «nel modo migliore». Invece riteniamo l’importanza di una causalità sana che procede insieme con i fini nella conoscenza. Cioè, un fine sul piano conoscitivo, è sempre una conseguenza e non nasce dal nulla. Per il concetto di causalità non intendiamo una causa efficiente aristotelica, che a sua volta crea secondo il suo piano universale deterministico, o il Dio-architetto di Malebranche, di Newton, di Leibniz. Kant invece propone il giudizio «riflettente» contro il determinismo matematico. Per lui argomento fisico-teleologico non ha valore per dimostrare il fine (argomento di san Tommaso). Non riteniamo nemmeno quel finalismo immanente di Hegel. Per noi l’uomo è capace di intendere il “vero” rispetto alla propria virtù. Questa intenzione, non viene attuata necessariamente nella vita quotidiana, proprio a causa della convenienza circostanziale (dominata da: paura, parzialità e piacere).

[14] Precisiamo, che a questo proposito non ci riferiamo ad alcun fenomeno misterioso e/o religioso; si tratta semplicemente di fenomeni naturali che a loro volta rimangono ancora ignoti a noi esseri umani come un tempo erano, per esempio, ignoti a noi alcuni batteri e virus.

[15] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.

[16] Come per esempio lo studio delle università d’oggi è, ripetitivo. Non c’è lo spazio per la “creatività” o per l’innovazione. Tutto, come dice nella prefazione di Isola dei pinguini, Anatolia Franz: i ricercatori, devono solo copiare ed incollare. Il nuovo fa paura. I ricercatori devono ricordare ciò che sanno tutti e basta. Così riceveranno applausi, meriti, regali, medaglie ecc. altrimenti riceveranno tutte le disgrazie possibili. Una cosa oggi è certa; se un ricercatore (disgraziato!) che porta il nuovo viene condannato a morte - e questo avviene in Europa o in USA - prima o poi lo si farà santo e gli si presenteranno anche le scuse.

[17] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.

[18] Anna Curir & Felice Perussia, Tipi di laboratorio, in Rivista bimestrale, Sapere, anno 73°, n. 5 (1052), edi. Dedalo, Agosto 2007, pp. 72-79.




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WATER - Man, The Narrator

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"No man threfore No world".